Disturbi del movimento: neurochirurgia funzionale
La neurochirurgia funzionale si occupa del trattamento di alcune patologie del sistema nervoso, quali i disturbi del movimento ( malattia di Parkinson, distonia, tremore essenziale ) o il dolore cronico neuropatico non-responsivo alla terapia farmacologica, che possono essere corretti mediante la modulazione della attività di specifici circuiti neuroanatomici coinvolti in quelle funzioni.
Nell’ambito dei disturbi del movimento, l’intervento di stimolazione cerebrale profonda ( DBS: Deep Brain Stimulation ) interferisce elettricamente nella modulazione dei circuiti nervosi implicati nel controllo del movimento, consentendo un miglioramento dei sintomi motori invalidanti che caratterizzano queste patologie.
In particolare, per quanto concerne la malattia di Parkinson, la modulazione elettrica inibitoria di una particolare regione cerebrale, il nucleo subtalamico, consente di ridurre le fluttuazioni motorie e le discinesie nei pazienti in trattamento cronico con farmaci dopaminergici.
L’intervento di stimolazione cerebrale profonda consiste nell’impianto di un elettrodo ( un sottile cavo provvisto di 4 o più contatti alla sua estremità ) a livello della regione cerebrale di interesse, ad esempio il nucleo subtalamico; l’elettrodo viene poi collegato, tramite un cavo che decorre nel sottocute ( denominato, estensione ) a un neurostimolatore ( simile a un pacemaker cardiaco ).
L’intervento di impianto degli elettrodi viene eseguito solitamente a paziente sveglio in anestesia locale, perché è fondamentale la collaborazione del paziente al fine di identificare la migliore sede di impianto, ottimizzando con informazioni cliniche e neurofisiologiche la scelta del target d’interesse precedentemente individuato mediante appropriati studi neuroradiologici.
Per quanto riguarda la prima fase di identificazione della sede di impianto, partendo dall’analisi di specifiche sequenze di risonanza magnetica che permettono l’individuazione del nucleo subtalamico, ne vengono definite le specifiche coordinate tridimensionali per quel paziente; in fase operatoria queste coordinate vengono quindi riportate in un sistema stereotassico su un apposito casco che viene posizionato sul capo del paziente.
In questo modo è possibile raggiungere con precisione millimetrica l’area cerebrale di interesse ed impiantare a tale livello l’elettrodo dopo le opportune verifiche di localizzazione elettrofisiologica ( microregistrazione ) e di efficacia clinica ( stimolazione con ricerca degli effetti desiderati ed esclusione di effetti collaterali ).
In una fase successiva, in anestesia generale, gli elettrodi cerebrali vengono collegati allo stimolatore ( pacemaker ), generalmente in regione toracica sottoclaveare.
L’intervento deve essere eseguito da entrambi i lati ( due elettrocateteri cerebrali ) anche se lo stimolatore può essere uno solo per entrambi.
Altri nuclei target utilizzabili con la stimolazione cerebrale profonda per la malattia di Parkinson sono il globo pallido interno ( GPi ), e, meno frequentemente, il talamo ventrale intermedio ( Vim ) per il tremore prevalente e il nucleo peduncolo pontino ( PPN ) di più recente introduzione ma ancora in fase di validazione.
Tale metodica presenta, rispetto a quelle lesionali diffusamente utilizzate già negli anni ‘60, il vantaggio di essere reversibile e regolabile in base alla risposta di ogni singolo paziente, ottimizzando così i benefici del trattamento.
La regolazione non richiede un nuovo intervento chirurgico, ma può essere effettuata dall’esterno, semplicemente modificando le impostazioni del neurostimolatore in modalità telemetrica.
Alla scarica della batteria, mediamente ogni 4-6 anni, lo stimolatore può essere sostituito con un semplice e rapido intervento in anestesia locale.
L’utilità invece di batterie ricaricabili dall’esterno, oggi disponibili, è ancora oggetto di valutazione in termini di costo-beneficio. ( Xagena_2014 )
Fonte: Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia - Ospedale San Carlo Borromeo di Milano
Xagena_Medicina_2014